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Storia di una ladra di libri – Conferenza stampa di presentazione del film nel Giorno della Memoria

27/01/2014 | Interviste |
Storia di una ladra di libri – Conferenza stampa di presentazione del film nel Giorno della Memoria

In occasione delle celebrazioni del Giorno della Memoria, in ricordo di quel 27 gennaio 1945 quando le truppe sovietiche entrarono a liberare il campo di concentramento di Auschwitz, viene presentato a Roma il film Storia di una ladra di libri diretto da Brian Percival, regista della serie televisiva di successo Downtown Abbey. La pellicola arriverà nei cinema il prossimo 27 marzo distribuita dalla 20th Century Fox ma viene presentata oggi a Roma proprio perché ha un forte aggancio con le celebrazioni del Giorno della Memoria, in cui in tutto il mondo si ricorda l’Olocausto, il genocidio perpetrato dalla Germania nazista nei confronti degli ebrei.
La storia è tratta dal bestseller La bambina che salvava i libri di Markus Zusak (otto milioni di copie vendute nel mondo, tradotto in più di trenta lingue, in Italia pubblicato da Frassinelli) e ispirata ai ricordi dei genitori dell’autore, cresciuti tra Germania e Austria durante la seconda guerra mondiale.
Il film racconta la vicenda della piccola Liesel ai tempi della Germania di Hitler. Affidata dalla mamma a dei genitori adottivi, la ragazzina, con l’appoggio del nuovo papà, imparerà a leggere e  scrivere e maturerà l’amore per i libri. Proprio grazie a questa sua passione, coltiverà l’amicizia con il giovane Max, un ebreo che i genitori nascondono nello scantinato. I libri saranno per entrambi la via di fuga da un presente di paura e morte. La pellicola è interpretata da Geoffrey Rush, Emily Watson e dalla giovanissima Sophie Nélisse ed ha ricevuto una nomination al premio Oscar per la migliore colonna sonora di John Williams.

Nell’elegante cornice di un hotel da due passi da via Veneto, il regista Brian Percival insieme alle due attrici, la bravissima Emily Watson e la sorprendente tredicenne Sophie Nélisse hanno incontrato la stampa per parlare del film ma anche di come hanno rivissuto una dolorosa pagina della recente storia del mondo.

La prima domanda è per il regista e le attrici. Il film tratta il tema dell’Olocausto in una chiave molto sottile e quotidiana che non siamo molto abituati a vedere al cinema. Come è stato affrontare i personaggi e il film a questo punto di vista?
Emily Watson: “E’ stata una grande opportunità interpretare questo ruolo in questo film, poter interpretare un personaggio sgradevole, non attraente, è un vero dono, è come indossare una maschera dietro alla quale puoi liberarti. Aver interpretato questo personaggio è stato come fare uno studio storico molto interessante. In un certo senso il tavolo della cucina di questa famiglia Hubermann è un po’ la rappresentazione di quello che stava accadendo in tutta la Germania, era un po’ la metafora della situazione generale. Il mio personaggio è quello di una donna arrabbiata, frustrata, triste, una donna che si trova in una situazione comune a molte altre persone, uno stato in cui viveva tanta gente, c’era miseria, disoccupazione, rabbia. Questa donna è sposata con un uomo dalla caratura morale considerevole e insieme prenderanno una decisione giusta, onesta e coraggiosa quando alla sua porta bussa un ragazzo in cerca di aiuto”.

Sophie Nélisse: “Per quello che mi riguarda quando ho partecipato al primo provino quasi per gioco, in realtà il mio sogno, visto che sono una ginnasta, era andare alle Olimpiadi a gareggiare. Poi mi hanno chiamato per un secondo provino a Los Angeles, e allora in aereo mi sono letta la sceneggiatura e devo dire che mi è piaciuta tantissimo. Poi ho fatto un terzo provino a Berlino, ero felicissima e volevo fortemente questo ruolo. Ho dovuto fare una scelta e credo di aver fatto la cosa giusta, ho imparato molto sull’Olocausto, abbiamo letto tanti documenti e testimonianze. Per me è stata una bellissima esperienza perché ho avuto modo di imparare veramente tanto interpretando questo personaggio”.

Brian Percival: “Quando ho letto la sceneggiatura per la prima volta e dopo aver letto il romanzo sono rimasto colpito dalla potenza e dalla bellezza di questa storia, una storia che guardava a questi eventi in una prospettiva diversa. Soprattutto quello che mi interessava era vedere la forza di questa ragazzina, c’erano tante emozioni alle quali mi sentivo connesso a vari livelli. Quello che volevo era avere leggerezza, delicatezza, gentilezza, in modo che il film si facesse strada in maniera sottile e leggera e arrivasse a toccare la pelle. Quando ho la sensazione che certe idee vengano imposte, provo un senso di rifiuto, preferisco uno stile più tranquillo, storie in cui la presenza del regista è quasi invisibile, è lì ma senza che il pubblico se ne renda conto. Magari verso la fine del film il pubblico si rende conto di quanto ha a cuore questi personaggi, quanto i personaggi sono entrati dentro di loro. Questo vale in particolare per un pubblico giovane perché ai giovani quando tu cerchi di imporre qualcosa, quando vedono un film che suona un po’ come una lezione di storia, tendono a rifiutarla. Ho cercato di fare un film che non fosse una pellicola sull’Olocausto perché i giovani non vanno a vedere un film sull’Olocausto. Un film sull’Olocausto probabilmente lo vanno a vedere le persone che conoscono già i fatti, ma la sfida è stata dare una prospettiva diversa e particolare a personaggi come quello di Liesel, Hans, Max, cercare di renderli interessanti per un pubblico giovane affinchè cercasse di saperne di più sulla storia con la “s” maiuscola. Ma non volevo imporre al pubblico una lezione di storia”.

Una domanda per Emily Watson. Il suo personaggio ha un doppio registro, da un lato è una donna molto arcigna, dall’altro dimostra un cuore d’oro. Come ha lavorato su questo doppio registro?
Emily Watson: “Essere sgradevole può essere molto facile. Tra l’altro avevo già recitato con Geoffrey Rush come marito e moglie in un film sulla vita e la morte di Peter Sellers, Tu chiamami Peter. Noi due condividiamo lo stesso senso dell’umorismo e sapevo che lui non se la sarebbe affatto presa se fossi stata cattiva e sgradevole con lui. La donna che interpeto si comporta in un certo modo ma quando si presenta alla porta di casa un ragazzo ebreo lei deve cambiare comportamento e arriva quasi a dire alla piccola Liesel che ti voglio vuole bene anche se poi non lo fa, non riesce a dirglielo”.

Una domanda per il regista. Il film è stato girato quasi tutto all’interno di studios, è stato un vantaggio e perché?
Brian Percival: “Si, l’85% del film è stato realizzato negli studios di Potsdam, per una serie di ragioni, abbiamo iniziato facendo la ricerca delle location nel percorso che va da Monaco a Berlino. Ma ricreare la città del libro era impossibile visto che è stata completamente rasa al suolo durante i bombardamenti e poi ricostruita. Quindi non c’era una location che ci potesse permettere di avere l’autenticità a 360 gradi. In realtà la città che avevamo scelto era Meissen in Germania centrale ma presentava delle condizioni meteorologiche gravi e pesanti con una fitta coltre di neve nel periodo in cui erano previste le riprese. Per poter avere il controllo della situazione ci siamo coperti le spalle e abbiamo scelto gli studios. Questo mi ha consentito una libertà maggiore di ricostruire ad esempio la strada principale oppure filmare la stessa casa da angolazioni diverse. Quindi abbiamo girato negli studios sia per ragioni di natura pratica ma anche estetica e per avere maggiore controllo”.

Una domanda per Sophie Nélisse. Geoffrey Rush ha detto di essere rimasto colpito dalla tua capacità di passare dal registro drammatico al registro più leggero. E’ una tua dote naturale?
Sophie Nélisse: “Penso sia una dote naturale, perché nel momento in cui mi si diceva "stop" io riuscivo a uscire dal mio personaggio, anche perchè se fossi rimasta nel mio personaggio anche fuori riprese sarebbe stato molto deprimente. Per quello che riguarda Geoffrey e Emily è stato fantastico lavorare con loro. Goffrey è un attore che sta passare da un registro all’altro, aveva l'abilità da clown di ridere e scherzare ma tra il segnale di azione e di stop tornava nel personaggio all’istante, entra ed esce dai personaggi come se facesse un trucchetto magico. Emily è eccezionale, era talmente dentro il personaggio che continuava a parlarmi con l’accento tedesco anche fuori dalle riprese”.

Una domanda per il regista. Il focus del film è la quotidianità del male e come vivere quotidianamente un dramma e come uscirne umani?
Brian Percival: “E’ esattamente questo. Io trovo affascinante la gente comune e se vai a guardare al di là della superficie vedi le cose più interessanti. Quello che ho trovato interessante è il modo in cui la gente affrontava e reagiva a questi eventi. Alcune persone hanno accolto l’ideologia nazista pensando che fosse una cosa buona per la Germania, altri per paura, altri si sono ribellati e hanno messo a rischio la propria vita per il bene degli altri. Credo sia interessante andare a vedere come la gente comune abbia affrontato questi eventi”.

Un’ultima domanda per Sophie Nélisse. Farai altri film o continuerai con la carriera nella ginnastica?
Sophie Nélisse: “Farò altri film ma continuerò a fare ginnastica, faccio anche tanti altri sport!”.

Elena Bartoni
 

 


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